Nel 2019, il 6% degli italiani soffriva di disturbi d’ansia, e con la pandemia la situazione è anche peggiorata: traumi psicologici gravi possono scatenare cambiamenti morfologici, genetici e biochimici nei neuroni dell’amigdala (la regione del cervello che gestisce le emozioni), facendo insorgere problemi legati all’ansia come attacchi di panico o disturbi da stress post traumatico.
L’efficacia degli ansiolitici attualmente in commercio non è ottimale anche perché non abbiamo ancora ben capito come funzionano i circuiti neurali che scatenano ansia e stress. Per saperne di più, un gruppo di ricercatori ha studiato a fondo gli eventi molecolari che sono alla base dell’ansia, concentrandosi in particolare su un gruppo di molecole chiamato miRNA. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communications.
LA MOLECOLA CALMANTE. Le molecole miRNA regolano diverse proteine “bersaglio” che controllano i processi cellulari che si sviluppano nell’amigdala. Analizzando dei topi maschi, gli studiosi hanno rilevato che, a seguito di un forte stress, aumentavano nell’amigdala le quantità di un particolare tipo di queste molecole: la miR483-5p che sopprimeva l’espressione di un gene (il Pgap2), a sua volta responsabile di cambiamenti nella morfologia neurale del cervello e di comportamenti legati all’ansia. Il quadro complessivo rivela dunque che la molecola miR-483-5p, scatenando un processo che bilancia i cambiamenti all’amigdala causati dallo stress, agisce come “calmante”.
UNA CHIAVE PER LE CURE FUTURE. «Bassi livelli di stress vengono controbilanciati dalla capacità naturale del cervello di autoregolarsi, mentre esperienze traumatiche gravi o prolungate possono annullare questo meccanismo di difesa dallo stress, portando allo sviluppo di condizioni patologiche come la depressione o l’ansia», spiega Valentina Mosienko, una degli autori dello studio. Ora è necessario studiare più a fondo il meccanismo miR483-5p/Pgap2 identificato dallo studio – la cui attivazione permette di ridurre i livelli di ansia – per poter sviluppare terapie più efficaci.
Fonte: Focus