Le mascherine funzionano per uso universale, il cosiddetto “uso nella comunità”?
Secondo quanto evidenziato dalla recente metanalisi eseguita della Cochrane, che comprende 78 studi su 700mila soggetti per valutare l’uso universale della mascherina, l’effetto protettivo è minimo, se non addirittura nullo, a livello di popolazione.
Secondo il virologo Guido Silvestri della School of Medicine della Emory University di Atlanta, a capo del board internazionale dell’Istituto Spallanzani di Roma, che alla revisione dedica un’analisi su Facebook, chiedersi se le mascherine funzionano o no, premette lo scienziato italiano prorettore negli Usa, «è come chiedere: le automobili funzionano o no? Beh, dipende da tantissime cose. Funzionano se hanno il motore intatto, se c’è benzina, se le ruote non sono bucate e se le usi su una strada e non per salire su un palo della luce, per attraversare un fiume o per andare dalla cucina al salotto. Sulle mascherine, sappiamo che funzionano in ambienti a rischio (ospedali, Rsa, ambulatori), dove riducono le infezioni da virus respiratori (e la conseguente mortalità), e se usate da persone che sanno di essere infettate. Inoltre, funzionano bene le N95, meno le “chirurgiche”, e meno ancora gli stracci fatti in casa. E ovviamente funzionano se usate correttamente e cambiate spesso».
Quanto alla metanalisi Cochrane, «anche qui va bene specificare ̶ precisa Silvestri ̶ perché da un lato c’è l’obbrobrio logico dell’obbligo di mascherine all’aperto, che solo degli “ignoramus”», evidenzia il virologo, «potevano definire “provvedimento che segue la scienza”; dall’altro ci sono gli aerei (dove io tuttora la mascherina la uso), i bus strapieni e mille situazioni intermedie, in cui mi sembra giusto che ogni persona faccia come meglio crede, ma senza nessun obbligo, per carità».
Lo scienziato ci tiene anche a ricordare che «l’uso delle mascherine non è del tutto innocuo. Lasciando perdere scempiaggini del tipo ‘ti fanno a respirare troppa CO2’, le mascherine ̶ osserva ̶ creano problemi a persone con difficoltà uditive (riduzione dell’intensità sonora, impossibilità di leggere le labbra) e non vedenti (che usano stimoli olfattori), e possono esacerbare problemi relazionali e/o psicologici in soggetti a rischio (deficit cognitivi, autismo, etc)».
«Tornando alla review Cochrane ̶ prosegue Silvestri ̶ scopro che è stata “criticata” da articoli di giornale e su Twitter. E qui già partiamo male, perché su queste materie non esiste “uno vale uno” e non si può mettere sullo stesso piano una pubblicazione di alto livello e le chiacchiere da bar. Ma soprattutto va ricordato che il “burden of proof”, nella scienza, sta a chi vuole dimostrare la presenza di un effetto – cioè falsificare la “null-hypothesis”, in gergo statistico – non a chi vuole dimostrare l’assenza dell’effetto stesso».
Per chiarire un esempio: «se ritengo che il farmaco X funzioni per la malattia Y, sono io a dover “falsificare la null-hypothesis” e mostrare una differenza tra chi ha preso il farmaco e chi no. Qualora lo studio clinico non dimostrasse alcuna differenza e poi si rivelasse sbagliato, non significa che il farmaco funziona, ma solo che si devono fare ulteriori studi e, nel frattempo, il farmaco non si usa».
«In altre parole ̶ riassume il virologo ̶ finché qualcuno non dimostra che le mascherine di comunità funzionano, la posizione scientifica di default è che non funzionano. E questo ̶ chiosa Silvestri ̶ varrebbe anche nella remota ipotesi che i “debunkers” da bar ne capissero di più degli esperti della Cochrane (good luck with that…)».
Fonte: WebSalute