Come curare al meglio i pazienti, spesso anziani, con un tumore della vescica metastatico? Le strategie a disposizione oggi sono diverse: oltre alla chirurgia e alla chemioterapia, possono avere un ruolo radioterapia e immunoterapia. E ci sono, dopo molti anni di attesa, altri nuovi farmaci in arrivo. Ma qual è l’ordine con cui procedere che offre più possibilità per prevenire eventuali recidive, sia locali che a distanza? Quali le migliori combinazioni tra le varie opzioni, che oltre a portare a casa il risultato sperato contro il cancro, garantisca anche una migliore qualità di vita ai malati? Per rispondere a tutte queste domande è partito da poco il primo registro nazionale attivato dalla dalla Federation of italian cooperative oncology groups (Ficog), che raccoglierà i dati in oltre 50 Centri della penisola con l’intento di mappare come viene trattato il carcinoma uroteliale metastatico e comprendere quali siano le terapie più idonee per il singolo paziente.
Attenzione al sangue nelle urine
Sono circa 29.200 i nuovi casi di tumore della vescica diagnosticati ogni anno in Itali, la quarta forma di cancro più frequente nel nostro Paese dopo i 50 anni: nonostante colpisca principalmente gli uomini, i numeri sono in crescita nel sesso femminile soprattutto a causa dell’aumento delle fumatrici (le sigarette sono responsabili del 43% delle patologie neoplastiche uroteliali maschili e del 25% di quelle femminili). Nel 75% dei pazienti la malattia viene individuata allo stadio iniziale ed è confinata alle parti superficiali della parete vescicale, quando è possibile intervenire chirurgicamente con buone opportunità di guarigione. Di più difficile gestione sono invece i casi metastatici che ammontano in Italia a circa a 7.300 l’anno. «Il carcinoma uroteliale, chiamato più comunemente tumore della vescica, è una neoplasia maligna che ha origine dall’urotelio, la mucosa che riveste internamente la vescica e le alte vie urinarie che convogliano l’urina dal rene nella vescica, che è l’organo più colpito da questo tumore — spiega Giuseppe Procopio, direttore del Programma prostata ed oncologia medica genitourinaria alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano —. Il principale campanello d’allarme è la presenza di sangue nelle urine: è un sintomo evidente che va segnalato il prima possibile al proprio medico e allo specialista urologo per eseguire esami più specifici con intento diagnostico. Il tempo è prezioso: arrivare alla diagnosi precocemente significa non solo che le possibilità di guarire sono maggiori, perché la malattia è ancora localizzata e non ha dato metastasi, ma anche poter essere curati con terapie meno invasive, con minori effetti collaterali e una qualità di vita migliore».
Personalizzare le cure
Quando si riesce a individuare la neoplasia nelle prime fasi, la sopravvivenza media dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi è dell’80%. Le cure prevedono intervento chirurgico se possibile, talvolta radioterapia e diversi tipi di chemioterapia (in presenza di una neoplasia in fase avanzata). Grazie ai successi della ricerca scientifica, oggi sono poi a disposizione nuove opzioni efficaci anche per molti pazienti con una neoplasia giunta in stadio avanzato. «I casi metastatici sono trattati con la chemioterapia, l’immunoterapia o la cistectomia radicale, che però è un intervento chirurgico molto complesso, ancor di più se si considera l’età avanzata di molte pazienti — aggiunge Procopio —. È poi previsto a breve l’arrivo, anche nel nostro Paese, di nuovi trattamenti che hanno dimostrato dei vantaggi clinicamente rilevanti. Tra questi c’è sacituzumab govitecan, un anticorpo-farmaco coniugato già utilizzato nel carcinoma mammario triplo negativo metastatico. Negli Usa è stato approvato per i malati colpiti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, trattati già precedentemente con la chemio». Fra gli obiettivi del registro Ficog (la cui realizzazione è stata resa possibile con il supporto non condizionante di Gilead Sciences) c’è anche quello di procedere nell’ottica della personalizzazione delle cure, ovvero comprendere quali siano le combinazioni e le sequenze ottimali di trattamenti, tenendo conto della neoplasia e della condizione del singolo malato.
Il nuovo registro
«È un progetto di ricerca di cui c’è assoluta necessità nel nostro Paese — sottolinea Carmine Pinto, presidente Ficog —. Siamo riusciti a coinvolgere oltre 50 strutture e abbiamo raggiunto una copertura uniforme dell’intero territorio nazionale, anche per capire come viene trattata oggi questa neoplasia nei Centri italiani grandi e piccoli. Prevediamo di arruolare circa mille pazienti in due anni. Lo studio SATURNO è multicentrico, prospettico e si pone l’obiettivo di raccogliere dati riguardanti la gestione dei pazienti con carcinoma uroteliale metastatico sottoposti a trattamento attivo o a una terapia di supporto, in linea con le raccomandazioni nazionali e internazionali. Attraverso un accurato monitoraggio e una successiva elaborazione dei dati, vogliamo produrre nuove evidenze scientifiche circa l’efficacia delle cure. Al tempo stesso il registro potrà far emergere quali siano i bisogni, più o meno insoddisfatti, dei malati». Nonostante i progressi, il carcinoma della vescica è causa di oltre 6mila decessi all’anno in Italia e a preoccupare gli specialisti c’è anche l’aumento dell’incidenza. «Bisogna far conoscere di più questo tumore e le sue cause — conclude Pinto —. Poche persone sanno che i fumatori corrono un rischio almeno tre volte più elevato di sviluppare il carcinoma rispetto ai non tabagisti. Questo spiega in parte l’aumento dell’incidenza tra le donne, maggiore rispetto a quella registrati tra gli uomini. Un altro fattore di rischio conclamato è l’esposizione a sostanze chimiche presenti in alcuni coloranti, diserbanti o idrocarburi. Per i lavoratori a rischio sono stati avviati negli anni scorsi dei programmi di screening specifici».
Fonte: Corriere.it